Viggiù

Una storia millenaria

Il viaggiatore che, lasciata la Valceresio, si inerpica sulla salita che lo porterà a Viggiù, non mancherà di notare, se dotato di curiosità per il paesaggio e di occhio attento, i muri che costeggiano la via. Muri costruiti a secco con schegge di una pietra grigio-cenerina monocroma e compatta, evidenti scarti di lavorazione. Dopo qualche tornante ancora scoprirà di transitare su un ponte e di avere sulla destra una specie di orrido, in fondo al quale potrà scorgere tra qualche infestante, una profonda caverna che si rivelerà una cava di pietra.

È una delle famose cave di pietra di Viggiù che per sei secoli ha alimentato cantieri a Milano, in tutto il resto della Lombardia ed in Piemonte. Continuando sulla sinistra si svela improvvisamente, nella sua severa maestosità, il bel campanile cinquecentesco, che svetta sulla vallata proteggendo il borgo: il campanile venne costruito su progetto di Martino Longhi il Vecchio, utilizzando la pietra estratta dalle cave viggiutesi. Dal sagrato si apre il panorama sulla Valceresio e lo sguardo può spaziare dal monte S. Elia sulla destra sino al Monte Useria di fronte, poi fino ad Arcisate, ad Induno, per giungere fino al Sacro Monte ed al Campo dei Fiori, ultime quinte prima dell’infinito.

Nel tracciato di questo sguardo si ritrova la vena sotterranea della pietra (una dolomia calcarea) del Lias Inferiore, la chiamano gli esperti. Cave sono state aperte anche a Saltrio, Brenno Useria, ad Induno ed al Sacro Monte per estrarre la stessa pietra, variata lievemente solo nel tono di grigio da cava a cava. Le cave più grandi e numerose, se ne contano sedici, sono lì sotto nascoste nelle viscere della montagna e la loro presenza si noterà solo d’inverno con gli alberi spogli. Abbandonata la coltivazione verso il 1970, i muri di sostegno dei terrazzamenti e quelli che segnavano i confini e le strade, tutti costruiti a secco con gli scarti di lavorazione, sono segno evidente della trasformazione del paesaggio dovuta alla presenza delle cave. Tali cave sono in attesa di essere rivalutate culturalmente ed anche turisticamente.

Le vicende sociali viggiutesi

Nel 1889, un gruppo di scalpellini Viggiutesi, stanchi di dover emigrare all’estero alla ricerca di un lavoro che permettesse loro e alle proprie famiglie di sopravvivere, desiderosi di restare tra gli affetti familiari, fecero propri gli ideali di fratellanza e di solidarietà. Fra i lavoratori nacque la consapevolezza e la volontà di raggiungere il benessere anche in patria con la speranza di poter fondare una società più giusta ed umana. Fu così che proprio a Viggiù fu fondata una delle prime Cooperative tra lavoratori della Lombardia e, la prima, in Provincia di Como. Già nel primo anno di attività la Società potè contare su una prima importante commessa di lavori: fu così garantito il lavoro durante tutto l’arco dell’anno a 20 operai e a cinque apprendisti.

Nel seguente periodo invernale, per far fronte a nuove richieste, la Società diede lavoro a 60 scalpellini che, emigrati, tornavano in patria dopo la stagione passata all’estero. La Società proprio tra questi emigrati cercava di raccogliere il maggior numero di soci collaboratori, in modo che una gran quantità di opere finite, venisse poi collocata sul mercato italiano, che era solito acquistare i manufatti artistici direttamente dai produttori delle botteghe viggiutesi e della zona. La Cooperativa, ebbe la sua sede in via Saltrio, all’incrocio con via Lazzaretto. A cinque anni dall’inizio dell’attività, i soci affittarono come laboratorio una cava abbandonata sita nelle Valere. Venti anni dopo, la Cooperativa contava 120 soci: essi costruirono un nuovo laboratorio a Piamo vicino alla ferrovia, con locali per l’esposizione ed acquistarono la cava in affitto. In seguito, per poter servire l’area di Gallarate, la Cooperativa aprì un nuovo laboratorio anche a Cassano Magnago. Questa Cooperativa proseguì la sua attività anche dopo il primo conflitto mondiale: fu solo con l’avvento del Fascismo che la stessa, come tutte le Cooperative Operaie, venne soppressa.

A Viggiù furono fiorenti anche le Associazioni Sindacali. I primi scioperi risalgono al 1861: tra le prime richieste dei lavoratori vi fu quella della diminuzione delle ore lavorative. In quegli anni, infatti, si lavorava dall’alba al tramonto, come ricordano i vecchi : “sa lavurava da stell a stell” e la media era di 16 ore al giorno. Per quello che riguardava il salario esso veniva stabilito dai datori di lavoro, in base al lavoro eseguito nella giornata. L’Unione dei Marmorini, con atteggiamento molto determinato, ottenne in quel periodo la riduzione delle ore lavorative giornaliere a 12 e aumenti salariali per tutti. Successivamente, con la Lega di Resistenza, gli scalpellini di Viggiù ottennero contratti di lavoro così innovativi che poco hanno da invidiare ai moderni contratti di lavoro.

Le società di mutuo soccorso di Viggiù

La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Viggiù sorse sull’esempio delle prime società di Mutuo Soccorso che si andavano costituendo in Lombardia dopo l’Unità d’Italia: essa fu la prima a costituirsi nel Circondario di Varese. Questo nuovo modo di associarsi tra imprenditori e operai trovò a Viggiù un terreno molto fertile. A promuovere questa iniziativa furono Federico Giani ed un gruppo di imprenditori locali insieme ai loro operai. Il 1° gennaio del 1862, in una pubblica adunanza nella Chiesa della Madonnina a Viggiù, al fine di fondare la Società di Mutuo Soccorso, si riunirono ben 177 persone, che si iscrissero alla stessa e stilarono una bozza dello Statuto della nascente Società.

L’approvazione di questo Statuto avvenne, dopo altre riunioni nella medesima Chiesa, il 25 maggio del 1862. Lo Statuto venne letto ed approvato dalla maggioranza dei 177 soci iscritti e, con una nuova votazione, venne eletto il vertice della Società. Presidente venne eletto Giovanni Cocchi, Vice Presidente Battista Bottinelli, Direttore Stefano Casanova, Cassiere Buzzi Gerolamo Ercolini, Segretario Giacomo Bottinelli. Quale Protettore di questa Società fu nominato il conte Renato Borromeo Arese. A Viggiù, come altrove, nella Società di Mutuo Soccorso, risaltava la capacità della borghesia media e piccola di utilizzare a proprio vantaggio la classe operaia, riassorbendo almeno in parte le nuove spinte che si stavano creando in essa, attraverso versamenti e riscossione delle quote per malattia e vecchiaia.

Passò, infatti, quasi un trentennio d’ininterrotta direzione della Società da parte degli imprenditori, prima che si aprisse anche agli operai la possibilità di far parte del Consiglio di Amministrazione della stessa. In seguito la Società si occupò anche di altre attività sociali ed educative fondando una Biblioteca Popolare, un Teatro Sociale, un Ufficio per l’Emigrazione, una Cooperativa ed un forno Sociale.

La scuola d’arte industriale di Viggiù

Sin dal 1864, il Signor Avanzini, proprietario di una bottega per la lavorazione dei marmi in Viggiù e in Canton Ticino, propose all’Amministrazione Comunale Viggiutese di istituire una Scuola Comunale di Disegno mettendo a disposizione della medesima la somma annua di 100 franchi: questa proposta, però, non venne accettata. In seguito furono altre personalità, presenti a Viggiù per motivi di lavoro, a riproporre questa iniziativa: in primo luogo l’imprenditore torinese Giorgio Accossato, da poco divenuto proprietario di Villa Borromeo ed importatore della pietra viggiutese per la costruzione della stazione ferroviaria di porta Nuova a Torino e per altre fabbriche del capoluogo piemontese, insieme al milanese Francesco Somaini, imprenditore ed appaltatore dei lavori in pietra della Galleria Vittorio Emanuele e dei portici settentrionali e meridionali in piazza Duomo a Milano, divenuto presidente della S.O.M.S. di Viggiù. Essi misero a disposizione una sostanziosa somma di denaro per fondare una Scuola Industriale d’Arte e porla nei vasti saloni della Società di Mutuo Soccorso.

I proprietari delle botteghe e gli stessi scultori che operavano in Viggiù e nei paesi limitrofi furono ben felici di avere una Scuola di Disegno in paese e ciò avvenne nell’anno 1872. A beneficiare di questa nuova istituzione furono i giovani nati nel comune di Viggiù e quelli del consorzio sociale di Saltrio, Clivio, Besano, Brenno Useria e Cazzone (Cantello) nonchè, in seguito, quelli del Canton Ticino. Questa Scuola divenne la migliore del Circondario di Varese per l’insegnamento e la formazione dei giovani nell’apprendimento dell’arte scultorea: giovani che divennero successivamente proprietari di bottega ed ottimi intagliatori. Molti di loro proseguirono gli studi alla Regia Accademia di Brera divenendo ricercati scultori. Ancora oggi nella sede della S.O.M.S sono conservati i gessi, i disegni, le tavole, le medaglie attribuite
come premi agli alunni che parteciparono alle mostre organizzate dalla stessa.